Quando si parla di caporalato e, più in generale, di sfruttamento del lavoro agricolo si tende a prendere in esame esclusivamente il genere maschile. È frequente leggere di “braccianti”, “lavoratori stagionali” e “migranti”, ma in realtà i fenomeni di illegalità coinvolgono ogni anno un numero elevato di donne, costrette a subire abusi, anche a sfondo sessuale. Nell’ultimo rapporto su “Agromafie e caporalato” curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto, emerge, ad esempio, che nelle campagne pugliesi “l’accesso al corpo delle operaie agricole comunitarie è considerato un diritto di datori di lavoro e intermediari” con i caporali che “decidono giornalmente se destinare le donne alla raccolta o ai rapporti sessuali forzati”. Risalire al numero degli abusi è complesso, ma attraverso i dati raccolti emerge un quadro preoccupante. Nel rapporto si legge, ad esempio, che “nel 2017, su 324 interruzioni di volontarie di gravidanza condotte su donne rumene in Puglia, 119 sono state effettuate nell’area di Foggia”.
La situazione è grave anche in Sicilia, nelle serre del Ragusano, non troppo distante dal campo di Cassibile. Qui le lavoratrici provengono in larga parte dalla Romania, soprattutto da quando, nel 2007, il Paese è entrato a far parte dell’Unione europea: alcune vivono in alloggi di fortuna, vecchi magazzini, garage o capannoni isolati nelle campagne e distanti chilometri dai centri abitati, altre sono migranti che trovano impiego nelle serre, svolgendo mansioni fino a poco tempo fa riservate agli uomini. Lavorano anche undici ore al giorno, con temperature che in estate diventano quasi insopportabili, costrette a respirare i pesticidi. La paga giornaliera si aggira sui 25-30 euro e, come se non bastasse, allo sfruttamento lavorativo si affianca quello sessuale. I “padroni” diventano carnefici e sanno vendicarsi in caso di rifiuto: aumentano i carichi di lavoro nei campi e rendono la vita di queste donne un inferno.