La maggior parte dei lavoratori stagionali impiegati in Italia proviene da luoghi lontani. Paesi in guerra come il Mali o in grande difficoltà economiche come molti degli Stati dell’Africa subsahariana. Da queste latitudini arrivano i ragazzi che lavorano nei campi di Saluzzo e a Siracusa, partiti per cercare fortuna altrove, proprio come gli italiani a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
Centinaia di migliaia di persone che si lasciano alle spalle la famiglia, gli amici e la loro casa. Senza la certezza di trovarne un’altra. Sono ancora pochi, infatti, gli imprenditori che offrono ai lavoratori un alloggio dignitoso durante il periodo della raccolta. A Saluzzo la pratica è più diffusa, mentre a Siracusa il campo di Cassibile, che ogni estate finisce puntualmente sulle pagine dei giornali, dimostra che il problema abitativo esiste e non è ancora stato risolto. È vero, l’accampamento non rispetta alcun requisito igienico-sanitario e le baracche di fortuna sono tutto fuorché sicure. D’altro canto, però, in quel microcosmo improvvisato e traballante i ragazzi si sentono a casa. Hanno allestito un bar dove ritrovarsi a fine giornata per bere insieme, ci sono tavoli e sedie che per quanto sgangherati permettono loro di sedersi e scambiare due parole prima di andare a dormire. «Per queste persone quel posto ha un senso – spiega Simona Cascio, presidente di Arci Siracusa – hanno delle cucine, la moschea, un punto di ristoro. Non penso che lo sgombero possa servire a qualcosa, soprattutto se non esiste ancora un’alternativa reale che garantisca l’accoglienza».